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Cass. Civ., Sez. I, 7.3.2016, n. 4455 (In tema di responsabilità della società beneficiaria della scioscione per i debiti assunti dalla società scissa)
- 14/03/2016Commerciale
Un società in accomandita semplice proponeva opposizione avverso la sentenza che ne dichiarava il fallimento.
Il ricorso non veniva tuttavia accolto. I giudici del merito ritenevano, infatti, che la scissione operata medio tempore, con il trasferimento ad una società di nuova costituzione di una parte del patrimonio della ricorrente, non aveva liberato la società scissa dei debiti trasferiti alla società beneficiaria, ove scaduti e non soddisfatti, sicché anche di tali debiti occorreva tener conto nell'accertamento del suo stato di insolvenza.
La medesima società impugnava quindi la decisione del Tribunale dapprima adito.
La Corte d’Appello ribadiva, per i medesimi motivi, il rigetto dell'opposizione proposta avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento.
Contro la sentenza d'appello, proponeva ricorso per Cassazione gli originari ricorrenti, lamentando che i giudici del merito avessero erroneamente riconosciuto una responsabilità solidale, anziché solo sussidiaria, tra la società scissa e la società beneficiaria e abbiano perciò assegnato rilevanza all'ingente credito vantato da una società, nonostante questo fosse stato trasferito alla società beneficiaria della scissione, non previamente escussa.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere in parte il ricorso, ha avuto modo di ricordare che “L'art. 2504 decies, comma 2, come oggi l'art. 2506 quater c.c., comma 3, prevedono che, nel caso di scissione, "ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico". L'interpretazione di questa disposizione è qui controversa sia nella parte in cui prevede che la società scissa risponde dei crediti "non soddisfatti dalla società cui fanno carico", sia nella parte in cui limita la responsabilità solidale di ciascuna società al "valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto”.
La Corte ha quindi precisato che “è ragionevole escludere che la norma riconosca un beneficio di previa escussione, perché, nei casi in cui è previsto, tale beneficio è sempre riferito al patrimonio (artt. 563, 1944, 2268 e 2304 c.c.) o al debitore da sottoporre a esecuzione forzata (art. 2393 bis, e art. 2868 c.c.). Mentre la norma in esame presuppone solo che i crediti da far valere siano rimasti insoddisfatti. Prevede dunque solo un beneficium ordinis, che, secondo la giurisprudenza di questa corte, presuppone esclusivamente la costituzione in mora del debitore (Cass., sez. 3^, 4 giugno 2009, n. 12896, m. 608385). Ne consegue che del debito trasferito alla [omissis] poteva già essere chiamata a rispondere la [omissis] al momento del fallimento, solo se fosse già intervenuta la costituzione in mora del debitore. E questo accertamento di fatto non è stato compiuto dal giudice del merito”.
La Corte di Cassazione ha quindi cassato la Sentenza impugnata con rinvio, cosicché i giudici del merito accertino se, per il credito oggetto di contestazione, vi fosse già stata o meno la costituzione in mora dei debitori e se, considerata l'effettiva incidenza di tale debito sul patrimonio della società dichiarata fallita, sussistesse quindi uno stato di insolvenza.
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