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La mancata svalutazione del credito inesigibile costituisce un falso in bilancio
- 19/06/2017
L’art. 223, comma 2, n. 1, Legge Fallimentare, concerne la cosiddetta bancarotta fraudolenta impropria e punisce i soggetti che abbiano cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società , commettendo, ad esempio, alcuno dei fatti previsti dall’art. 2621 del Codice civile (false comunicazioni sociali).
Sul punto, con Sentenza n. 29885 del 15 giugno scorso, la Corte di Cassazione ha stabilito che la permanenza, nei conti di una società poi fallita, di un credito inesigibile, senza quindi operare la svalutazione di cui all’art. 2426, comma 1, n. 8), Codice civile, costituisce un falso in bilancio.
Tale permanenza aveva consentito alla società poi fallita di proseguire la propria attività senza prendere atto che il proprio patrimonio netto era divenuto negativo, e senza quindi provvedere alla ricapitalizzazione, alla liquidazione oppure alla richiesta di fallimento.
La Corte ha dunque confermato la condanna dell’amministratore della società poi fallita per il reato di bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio.
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