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Cass. Civ., Sez. III, 8.3.2016, n. 4540 (In tema di risarcimento dei danni e responsabilità medica)

  • 14/03/2016Civile

Con atto di citazione, dei coniugi convenivano in giudizio i medici e la struttura sanitaria ove gli stessi prestavano attività lavorativa per sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della negligente ed imperita assistenza medica, prestata durante la gravidanza.
L'adito Tribunale, tuttavia, all’esito dell’espletata CTU medico-legale, rigettava la domanda attorea.
Avverso tale decisione, proponevano appello gli originari attori, lamentandosi delle risultanze istruttorie e insistendo affinché venisse accertata e dichiarata la responsabilità dei convenuti.
La Corte territoriale, tuttavia, rilevato che i mezzi tecnici utilizzabili all'epoca (1986) consentivano una diagnosi di anomalie fetali con una affidabilità assai limitata, confermava la decisione del giudice di primo grado.
La parte soccombete proponeva allora ricorso per Cassazione, lamentando, in particolare, che l’istituto ospedaliero e i medici ivi operanti fossero obbligati ad informare la gestante della possibilità di più elevate percentuali di successo diagnostico ripetendo l'esame ecografico presso strutture più avanzate, quale atto di informazione dovuto diretto al soddisfacimento dell'interesse del paziente, così come dedotto nel contratto.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha precisato: “Come anche ricordato dalla sentenza impugnata, questa Corte (Cass., 13 luglio 2011, n. 15386) ha affermato che "in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti" precisandosi, poi, che "al riguardo la prova, pur se incombente sulla parte attrice, lamentandosi la mancata informazione da parte del medico, non può che essere di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica della donna che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l'interruzione di gravidanza". Occorre ribadire la validità di tale principio di diritto che, contrariamente a quanto (solo in parte) assunto dalla Corte territoriale, non impone "tout court" un "obbligo per ciascun ecografista... di rinviare sempre ad un centro maggiormente specializzato".
Prosegue la Corte: “In tema di controlli ecografici sul feto, ai fini della relativa diagnosi morfologica, l'obbligo gravante sulla struttura sanitaria e sullo stesso medico strutturato, che abbia concretamente operato la diagnosi, di informare la paziente, che ad essa si sia rivolta […], di poter ricorrere a centri di più elevata specializzazione, sorge anzitutto in ragione dell'esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all'uopo adeguate, così da ingenerare nella paziente l'affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo”.
La Corte di Cassazione, per le ragioni sopra esposte, ha quindi rigettato il ricorso.

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