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La sottrazione di dati aziendali, anche se non divulgati, comporta una violazione del dovere di fedeltà

  • 20/12/2017

La violazione del dovere di fedeltà, previsto dall’art. 2105 del codice civile, deve ritenersi integrata anche nel caso in cui il lavoratore si limiti a sottrarre dei dati aziendali, senza poi divulgarli a terzi.

Con Sentenza n. 25147 del 24 ottobre 2017, la Corte di Cassazione, esaminando il caso di un lavoratore il quale aveva trasferito sulla propria pen drive un numero rilevante di dati dell’azienda presso la quale era impiegato, ha precisato che sussiste la violazione del dovere di fedeltà anche laddove i dati in questione non siano distrutti o rimossi dal dispositivo dal quale sono stati sottratti. Peraltro, è del tutto irrilevante la circostanza che i dati sottratti non siano protetti da una password.

La Corte, nel confermare la legittimità del licenziamento del lavoratore, ha dunque sottolineato che, ai fini della violazione del dovere di fedeltà, è sufficiente che la condotta sia potenzialmente lesiva degli interessi del datore di lavoro, non essendo invece necessario che tale condotta abbia anche cagionato un danno. 

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