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La procedura di esdebitazione ricomprende anche i debiti da mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto

  • 20/03/2017

Il D.lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 ha introdotto, all’art. 142 della Legge Fallimentare (R.D. n. 267 del 16 marzo 1942), la c.d. procedura di esdebitazione, a mezzo della quale si era inteso impedire, successivamente al Decreto di chiusura del fallimento, l’aggressione del beni del fallito persona fisica.

L’esdebitazione opera a condizione che siano soddisfatti determinati requisiti oggettivi, elencati dal predetto art. 142. Essa prevede che il fallito persona fisica sia ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti.

A tal proposito, i debiti da mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto non figurano tra quelli  espressamente esclusi dal beneficio della liberazione. Ciò, in apparente contrasto con l’art. 22 della Direttiva 77/388/CEE, sull’armonizzazione delle legislazioni in materia di imposte sulla cifra d’affari, la quale prevede l’obbligo, in capo agli Stati membri, dell’esatta riscossione di tale imposta.

Peraltro, con pronuncia del 16 marzo scorso nella causa C-493/15, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in risposta ai quesiti formulati dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 13542 del 1 luglio 2015, non ha rinvenuto alcuna incompatibilità tra il diritto comunitario e la disciplina dell’esdebitazione.

In particolare, la Corte europea ha chiarito che tale procedura non viola la Direttiva 77/388/CEE, in quanto essa è assoggettata a condizioni di applicazione rigorose, le quali offrono garanzie sufficienti per la riscossione dei crediti IVA. Non si configura, quindi, una rinuncia generale ed indiscriminata alla riscossione di tale imposta.

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