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Il venditore può rispondere in caso di mancata concessione dell’agevolazione fiscale «prima casa»

  • 05/12/2016

La normativa italiana prevede agevolazioni fiscali (in materia di IVA, imposta imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale) in caso di acquisti di immobili, classificati in Catasto in categorie diverse dalle categoria A/1, A/8 e A/9, con caratteristiche di “prima casa” (nota II-bis dell’art. 1, D.P.R. n. 131, 26 aprile 1986).

Le agevolazioni ottenute, quando si acquista un’abitazione con i benefici “prima casa”, possono essere perse, per accertata mancanza di uno dei requisiti, con la necessità di versare le imposte non pagate, gli interessi e una sanzione del 30% dell’imposta stessa.

Anche se i contraenti sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta (articolo 57, comma 1, D.P.R. n. 131, 26 aprile 1986) nei rapporti interni, la fiscalità indiretta della compravendita ricade, di regola, sull’acquirente. Inoltre l’imposta complementare, cioè la sanzione del 30% dell’imposta stessa comminata dall’amministrazione a seguito di accertamenti e di decadenza dei benefici "prima casa", è dovuta esclusivamente dal soggetto che ha messo in atto l’azione che ha prodotto la decadenza dei benefici, solitamente la parte acquirente.

Sul punto però la Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 24400 del 30 novembre 2016, ha chiarito che la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può verificarsi anche per ragioni non imputabili alla parte acquirente. Ad esempio nel caso in cui il venditore venda un immobile appartenente a categorie catastali per le quali non operi l’agevolazione “prima casa”, anche a seguito di una revisione che il Catasto effettuata in data posteriore al contratto di compravendita.

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